Consiglio dei Distretti Notarili Riuniti di Udine e Tolmezzo
Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura Università degli Studi di Udine
Memorie su le antiche case di Udine di Giovanni Battista della Porta: un archivio aperto per la conoscenza della città storica
progetto di ricerca a cura di Anna Frangipane dall’edizione a stampa curata da Vittoria Masutti, 1984-1987
LE CARTE DELL’ARCHIVIO DI STATO
Lucia Stefanelli
Archivio di Stato di Udine

 

I documenti che attestano le vicende di case e palazzi udinesi non provengono da un’unica serie omogenea di atti, ma da archivi e da sedi diverse, incrociando così informazioni attinte da carte compilate nel corso dei secoli con modalità e caratteristiche tra loro differenti, sia per le finalità a cui erano destinate, sia per l’ambito in cui sono state prodotte.

 

A volte si tratta di documenti originati in contesti formali e con rilevanza giuridica, come nel caso degli atti notarili, altre volte si hanno invece carte più propriamente amministrative, come avviene per quanto riguarda le pratiche gestite dagli uffici comunali, senza però escludere la presenza di documentazione proveniente da altri contesti, come quello religioso-devozionale, comprendente confraternite, conventi e monasteri, o ancora di carattere prettamente privato, per quanto riguarda la presenza di appunti, note spese, o altre carte scritte per gli scopi più disparati e conservate negli archivi familiari.

 

Ci si trova indubbiamente di fronte a tipologie di fonti tra loro diversificate, che però nel corso del tempo sono state spesso accomunate da vicende simili, dal momento che nella gran parte dei casi hanno subito manomissioni, trasferimenti, incursioni straniere ed anche bombardamenti, ma nonostante tutto questo custodiscono ancora migliaia di testimonianze su una storia locale che naturalmente non è fatta solo di edifici, ma anche di persone che vi vivevano e vi lavoravano.

 

Grazie all’immane lavoro realizzato nella prima metà del ‘900 da Giovanni Battista della Porta, poi rivisto da Vittoria Masutti per l’edizione a stampa dell’opera, ed ora reso accessibile sulla rete internet, con un sofisticato lavoro di strutturazione multimediale ideato da Anna Frangipane, si offre a tutti la possibilità di aprire virtualmente le porte degli archivi storici, sfogliare i documenti e leggere i testi selezionati e trascritti.

Le informazioni rintracciate sono infatti raggruppate sotto il numero civico con cui sono state contrassegnate le singole case all’interno della cinta muraria della città di Udine1, e non riguardano soltanto i palazzi più importanti o le prestigiose dimore signorili delle antiche famiglie nobiliari, ma anche le casette più modeste, come quelle, piuttosto frequenti, formate da «una stanza a pian terreno che serve di cucina» e «un’altra stanza sopra ad uso di camera da dormire», oppure porzioni di abitazioni, sostanzialmente singole stanze, locali al pianterreno adibiti ad uso di bottega, o perfino piccole strutture all’interno dei cortili, come «una stalletta ad uso di animali suini, formata di muro, coperta di coppi con piccola corticella davanti»2.

 

La documentazione più antica è certamente costituita dagli atti dei notai3, con testimonianze che a volte risalgono al XIV secolo, comprendenti unarticolata tipologia di contratti (gli antichi istrumenti, o instrumenta), tra cui risultano qui particolarmente rilevanti le compravendite e i contratti di locazione delle case, che venivano stilati su richiesta dei privati.

Il notaio consegnava ai contraenti la stesura originale del contratto e ne trascriveva integralmente il contenuto sul proprio protocollo, che andava conservato e custodito con cura anche dopo il termine della sua attività.

All’interno di questi atti la segnalazione della casa oggetto del contratto può essere più o meno dettagliata, ma per lo più troviamo indicata la sua ubicazione, le caratteristiche generali dell’edificio, insieme alla segnalazione di eventuali corti interne, stalle ed orti di competenza della struttura; inoltre a volte nell’atto possono essere riportate informazioni più particolari, così ad esempio il proprietario della casa riferibile al numero civico 1666, nel 1559 dichiara nel contratto di voler concedere in affitto una «domum suam cum furno, muratam, soleratam, cuppis copertam».

Riferimenti alle proprietà immobiliari e descrizioni degli edifici posseduti sono naturalmente presenti anche all’interno dei testamenti, da cui emergono informazioni preziose riguardo ai patrimoni familiari e alle relative divisioni immobiliari, oltre che ai passaggi ereditari, particolarmente utili soprattutto per quanto riguarda il periodo dell’età moderna, quando ancora non esistevano in Friuli veri e propri catasti.

Le due tipologie di atti notarili, costituite da contratti e testamenti, potevano a volte essere integrate dalla stima dei beni che veniva fornita da un perito appositamente incaricato, allo scopo di procedere alla divisione del patrimonio familiare fra vari componenti, oppure in occasione di controversie giudiziarie o anche semplicemente per la necessità di quantificare il valore delle proprietà. Questi documenti ci offrono quasi uno scatto fotografico delle case, con descrizioni molto minuziose di tutte le parti degli edifici, insieme alle relative pertinenze, non solo riguardo alle caratteristiche strutturali (comprendenti scale, solai, ballatoi, stipiti, ecc.), ma anche sullo stato di conservazione degli immobili, che poteva incidere sul valore del bene.

Certamente però, per quanto le descrizioni contenute negli atti dei notai siano ricche ed esaustive, non dobbiamo scordare che nei documenti più antichi non possono comparire riferimenti alla numerazione civica (adottata solo nel XIX secolo), così come non è ancora presente l’indicazione della via intesa nella modalità attuale, poiché le strade non erano denominate singolarmente, ma genericamente per borghi, pertanto il collegamento del documento con un preciso numero civico è possibile esclusivamente dopo un accurato lavoro di interpretazione delle informazioni fornite riguardo alla sua posizione, alla denominazione dei proprietari, alla descrizione dell’immobile e all’indicazione dei relativi confinanti.

In generale inoltre tutte le tipologie di atti notarili, siano essi contratti di compravendita, di locazione, stime o testamenti, non prevedevano la stesura di disegni, che risultano rarissimi in tale ambito.

Per reperire questo genere di carte è necessario rivolgersi ad altri fondi archivistici.

 

In effetti la ricchissima documentazione iconografica che è stata rintracciata sui singoli edifici e che ora viene valorizzata nella consultazione digitale, è prevalentemente riconducibile all’epoca ottocentesca e proviene in gran parte dall’archivio del Comune di Udine.

Qui si trovano infatti le pratiche relative ai singoli edifici, comprendenti le centinaia di richieste presentate nel passato dai privati cittadini al Comune di Udine, allo scopo di ottenere le autorizzazioni necessarie per effettuare gli interventi edilizi.

Questa procedura, saltuariamente presente già nel corso del XVIII secolo per interventi particolari, è stata regolamentata con un decreto napoleonico emanato il 9 gennaio 18074, poco dopo l’insediamento dell’amministrazione francese in Friuli.

Il decreto prevedeva l’istituzione presso i Comuni delle Commissioni (o Deputazioni) di Ornato, incaricate di formulare «i progetti occorrenti pel miglioramento simmetrico de’ fabbricati fronteggianti le strade, e per l’allargamento o rettifilo delle strade stesse», nell’intento di conciliare l’aspetto estetico degli edifici con l’assetto funzionale delle strade, non soltanto per garantire un comodo transito di persone e mezzi, ma anche per tutelare il decoro della città e la sicurezza pubblica, senza trascurare i vari problemi legati allo scolo delle acque, alla manutenzione dei lastricati, alla tutela degli argini delle rogge o alla pulizia degli spazi pubblici.

Inoltre le Commissioni dovevano anche vigilare «per la sicurezza pubblica sulla solidità delle fabbriche che si costruiscono» (dove naturalmente per «fabbriche» si intendono i fabbricati in genere e non gli edifici industriali).

La presenza dei disegni che illustrano gli interventi da effettuare sull’edificio è determinata da una norma precisa del decreto stesso, che stabiliva che «Ogni possessore che vuole intraprendere riparazioni, costruzioni od inalzamenti dei muri fronteggianti le strade, presenta prima alla Municipalità il disegno delle opere da eseguirsi».

Per questo le richieste appaiono corredate dai disegni tecnici stilati da ingegneri, architetti o periti, che illustrano l’intervento da effettuare sull’edificio, utilizzando colorazioni diverse per rappresentare lo stato di fatto e le modifiche previste. Quasi sempre si tratta di prospetti di edifici fronte strada oppure di particolari delle facciate, mentre più raramente si trovano planimetrie, rappresentazioni di sezioni o di parti interne.

Nel fascicoletto della pratica, oltre alla richiesta e al relativo disegno, in genere si trova riportato il parere della Deputazione d’Ornato, e poi il testo della risposta del Comune per la concessione o meno dell’autorizzazione all’esecuzione dei lavori. In caso di assenso possono essere presenti indicazioni riguardo ad eventuali requisiti tecnici da rispettare e in alcuni casi (pensiamo ad esempio a richieste per la trasformazione di edifici da adibire a tintorie, conciapelli o filande) anche pareri o indicazioni relative ad aspetti igienico-sanitari, di tutela dell’ambiente e di ordine pubblico.

 

L’Ornato costituisce solo una delle tante categorie di atti presenti all’interno dell’archivio comunale, insieme a voci come Agricoltura, Acque, Annona, Istruzione, Polizia, Sanità, Stato civile, e altre ancora, che si vengono via via modificando e articolando nel corso del tempo, e non va escluso che all’interno di queste si possa trovare altra documentazione interessante per la storia delle case.

Così avviene in particolare per alcuni repertori ampiamente utilizzati come fonte archivistica in questo ambito, dal momento che si tratta di registri compilati per necessità contingenti di tipo militare e di sicurezza pubblica, che ci forniscono però una sorta di censimento degli edifici con l’indicazione dei loro proprietari.

Due di questi sono stati compilati per far fronte all’esigenza di ospitare un consistente numero di militari in transito a Udine, prima francesi, poi austriaci. Casa per casa, ovvero per ciascun numero civico, sono stati registrati i dati riguardanti i nominativi dei proprietari e accanto è stato indicato il numero di ufficiali, soldati e cavalli che vi potevano essere ospitati: si tratta del Registro delli alloggi militari di Udine5 compilato nel 1809, e del Registro delle competenze alloggi militari attribuite alle case del Comune della R. Città di Udine in 18526.

Questi due strumenti costituiscono dunque un punto di riferimento costante, tanto è vero che risultano citati per gran parte degli edifici, come avviene anche per un altro registro, il cui titolo appare ampiamente esemplificativo del contenuto: Nomenclatura delli borghi, contrade, calli, piazze, portoni, porte e numerazione delle case nella città di Udine fatta l’anno 18017.

Infine ricordiamo un ultimo documento dell’archivio comunale che risulta citato in maniera ricorrente, anche se è stato compilato per finalità di ordine pubblico e non riguarda sistematicamente tutti gli edifici, ma solo una categoria specifica di questi, pur se piuttosto consistente in ambito udinese. Si tratta dell’Elenco degl’esercenti sogetti a tassa di Polizia nel Comune di Udine, che ci fornisce una lista completa dei locali pubblici per cui era previsto il rilascio di apposita licenza: sulla base del numero civico vengono censiti circa trecento edifici adibiti ad uso di locande, osterie, bettole e caffetterie8.

 

 

In complesso dunque l’archivio storico del Comune di Udine costituisce una fonte privilegiata di informazione, grazie alla sua ricchissima documentazione raccolta in migliaia di cartolari, articolati in numerose serie che coprono epoche diverse, e che attualmente si trovano conservate in tre sedi istituzionali.

La parte più antica, risalente ai secoli XIV-XVIII e comprendente anche le delibere del Consiglio (Annales e Acta publica), è da tempo custodita presso la Biblioteca civica di Udine, dove si trovava anche la serie di atti ordinati per materia, che nel 1959 è stata trasferita, insieme a molti altri fondi archivistici, presso l’Archivio di Stato di Udine, aperto pochi anni prima in una sede appositamente costruita, e quindi dotata di ampi spazi adeguati alla conservazione.

La parte ottocentesca invece, articolata in tre sezioni principali e in altre secondarie9, è stata depositata direttamente dal Comune di Udine all’Archivio di Stato nel 1971, allo scopo di renderla disponibile agli studiosi, favorendone la consultazione e garantendone una corretta conservazione.

Per quanto riguarda invece gli atti più recenti, comprendenti le carte prodotte dall’inizio del ‘900 in poi, questi si trovano ancora nella loro sede primaria, ovvero presso gli uffici del Comune stesso.

 

L’intreccio dei documenti conservati nelle due istituzioni cittadine dell’Archivio di Stato e della Biblioteca civica è una costante che va tenuta sempre presente nell’ambito della ricerca storica locale, anche per quanto riguarda la documentazione di altra provenienza. Ricordiamo ad esempio il caso di conventi e monasteri cittadini: la documentazione di questi organismi, soppressi dalla normativa napoleonica, o in alcuni casi già in epoca veneta, è confluita in gran parte all’Archivio di Stato10, però molti antichi disegni rappresentanti le planimetrie di questi articolati complessi, fatti di edifici di abitazione e di culto, di orti, stalle e cortili, spesso sono conservati presso la Biblioteca, dove tutti questi atti erano stati raccolti prima dell’istituzione dell’Archivio di Stato.

Un esempio per tutti: quello del convento dei Cappuccini che sorgeva tra le attuali Via Deciani (già Borgo dei Cappuccini) e Via di Toppo (un tempo occupata dalla cinta muraria).

Tra le carte del notaio Antonio Lorio, ora conservate in Archivio, è presente l’atto di vendita del 1811 relativo alla struttura del convento, ceduto dal Demanio ad un privato. All’atto viene allegata la stima fatta compilare da un perito, che descrive con grande cura i singoli locali e tutti gli spazi esterni, assegnando loro una numerazione progressiva; numerazione che corrisponde a quella riportata su una planimetria a colori del convento, ora custodita presso la Biblioteca Civica11.

 

Sia i conventi che le confraternite laiche, istituite a scopi devozionali o anche di solidarietà e mutuo soccorso tra i suoi componenti, soprattutto per quanto riguarda le confraternite di mestiere, erano titolari di consistenti patrimoni immobiliari provenienti da donazioni di privati. Una volta acquisiti, questi beni divenivano inalienabili e venivano amministrati come risorsa economica della confraternita o del convento, generalmente concedendoli in locazione a privati.

Di questa gestione è rimasta ampia testimonianza nei documenti amministrativi, contabili e giudiziari dei singoli organismi, fornendo informazioni storiche non soltanto su edifici adibiti ad abitazione, ma anche su strutture produttive, dal momento che i conventi udinesi, insieme all’Ospedale di Santa Maria dei Battuti, fin dall’epoca medioevale risultano proprietari di antichissimi opifici idraulici posti sulle due rogge cittadine.

È risaputo che fino al XIX secolo in ambito urbano non esisteva una netta separazione tra gli edifici abitati e quelli utilizzati per attività agricole e produttive; spesso si verificava una sorta di promiscuità tra i vari ambiti, che si intersecavano e si confondevano, così come si intersecavano le abitazioni, i cortili, gli orti e le stalle. Per questo la documentazione antica che offre testimonianze degli edifici non ci parla soltanto di case abitate, ma anche di botteghe, di osterie, di magazzini, di mulini, di portoni e mura di cinta che proteggevano gli orti, o anche di ponticelli costruiti davanti alle case per attraversare le rogge che scorrevano a cielo aperto.

 

Ma se gli atti notarili si rivelano sempre ricchissimi di informazioni su tutte le tipologie di edifici presenti in città, così come l’archivio comunale fornisce un’ineguagliabile raccolta di disegni e di pratiche di Ornato, forse ci si sarebbe aspettati di trovare una maggior quantità di carte utili per la storia delle case all’interno degli archivi di antiche famiglie nobili friulane che si conservano in ambito locale12.

Considerata la mole notevole di materiale documentario presente, appare sostanzialmente limitato il numero di documenti citati tra le fonti per la storia delle case, soprattutto per quanto riguarda le prestigiose residenze udinesi delle famiglie stesse.

Indubbiamente molti archivi familiari sono andati perduti, ma allinterno di quelli ancora presenti, pur se numerosi, solo in sporadici casi sono state rinvenute planimetrie e prospetti di edifici realizzati dai tecnici su incarico dei committenti, o anche semplicemente note spese, carteggi o altre annotazioni per l’esecuzione di lavori di manutenzione delle case di abitazione, accanto ai documenti numerosissimi relativi alla gestione amministrativa e contabile delle proprietà immobiliari di famiglia.

Tra queste fortunate eccezioni ricordiamo il caso dei palazzi Florio, Caiselli, della Porta, o per quanto riguarda le strutture produttive, il filatoio dei nobili Follini, un imponente complesso industriale attivo sulla roggia di Borgo Gemona tra il XVIII e il XIX secolo, di cui ritroviamo le planimetrie tra le carte della famiglia stessa.

 

 

1   La numerazione delle abitazioni presa come riferimento è quella progressiva (dal n. 1 al n. 2100) adottata nel 1801 e rappresentata nella pianta della città disegnata dall’ing. Lavagnolo intorno al 1840.

 

2   Casa n. 1969, nella Contrada detta Bertaldia. Atto notarile del 1801.

 

3   La conservazione degli atti notarili, che per il Friuli coprono un arco di tempo che va dal XIII al XX secolo, è stata nel tempo tutelata e regolamentata, ed ora è di competenza degli Archivi Notarili Distrettuali per quanto riguarda i primi cent’anni dopo la cessazione dell’attività del notaio, e in seguito degli Archivi di Stato, a cui gli atti vengono consegnati dopo tale termine, e dove sono liberamente consultabili.

 

4   Bollettino delle leggi del Regno d’Italia. Parte prima dal 1 gennaio al 30 giugno 1807. Milano, dalla Reale Stamperia, [1807], pp. 9-11. Sull’organizzazione e l’attività della Deputazione di Ornato a Udine si veda il volume: L’eredità napoleonica a Udine: una nuova immagine per la città, a cura di ALESSANDRA BIASI e EUGENIO VASSALLO, Udine, Comune, 1995.

 

5   ASUD, Archivio comunale di Udine, parte napoleonica, b. 174 bis. Oltre ai nomi dei proprietari riporta anche quello degli inquilini, il numero di persone residenti ed il numero di stanze.

 

6   ASUD, Archivio comunale di Udine, parte austriaca, b. 550.

 

7   BCUD, Archivio comunale di Udine, inv. 258.

 

8   ASUD, Archivio comunale di Udine, parte napoleonica, b. 184. Il repertorio è stato compilato nel 1812.

 

9   Si tratta in totale di più di 2.000 pezzi, tra registri e cartolari.

 

10   I fondi archivistici di conventi, monasteri e confraternite sono riuniti in due grandi archivi denominati Corporazioni religiose soppresse e Monasteri soppressi.

 

11   BCUD, f. p., ms. 1310 e ASUD, Archivio notarile, b. 10423.

 

12   Gli archivi privati in cui sono stati reperiti documenti sulle case udinesi, citati nel volume curato da Vittoria Masutti, sono attualmente conservati presso l’Archivio di Stato, però molti di questi all’epoca del lavoro svolto da G.B. della Porta si trovavano presso la Biblioteca Civica di Udine.